Le reti cliniche ieri, oggi e domani

MAURIZIO DAL MASO, ASSOCIATE FOUNDER HEALTHABILITY SOCIETÀ BENEFIT, FIRENZE

Stephen W. Hawking definiva l’intelligenza come “la capacità di adattarsi al cambiamento”, quindi dobbiamo sperare di essere tutti molto intelligenti nei prossimi anni per governare il cambiamento necessario del nostro SSN/SSR ma anche per evitare la sua trasformazione “non governata” e quindi potenzialmente dannosa come avviene in tutti i cambiamenti subiti e non guidati. Da dove cominciare, però, visto che ci servirebbe un “grande progetto”, come scriveva S. Harari il 29 dicembre 2023 sul Corriere della Sera e, francamente, non sembra di vedere all’orizzonte dei grandi “project managers” capaci di governare a tutti i livelli istituzionali e professionali la riforma del SSN/SSR. Da dove potremmo partire avendo “le persone giuste al posto giusto”? Come in tutti i progetti bisognerebbe seguire tre passi fondamentali:

  1. Cosa fare e chi fa cosa?

  2. Con che cosa fare e come fare?

  3. Quanto costa?

Alla prima domanda ci troveremmo subito in difficoltà. Eppure da questi primi 46 anni di SSN/SSR dovremmo avere ricavato tutti gli elementi di conoscenza necessari per realizzare questo progetto. Facciamo alcune considerazioni sulle reti cliniche e la collocazione dei diversi attori del sistema al loro interno, dato che questo potrebbe essere un modo corretto e coerente per rispondere alla prima strategica domanda e provare a superare la difficile situazione in cui ci troviamo oggi.

L’OMS nel 1998 definiva la rete come “un raggruppamento di individui, organizzazioni o agenzie organizzate su base nongerarchica intorno a problemi o obiettivi comuni, alimentate in modo proattivo e fondate su impegno e fiducia”. Nel 2000 il NHS definiva le reti cliniche quelle costituite da “gruppi di professionisti collegati, provenienti da cure primarie, secondarie e terziarie, che lavorano in modo coordinato, non vincolati dai confini professionali e/o organizzativi esistenti, per garantire la fornitura equa di servizi efficaci e di alta qualità”.

Nel Piano sanitario nazionale 2011-2013 le reti cliniche sono considerate funzionali al miglioramento dell’efficacia ed efficienza del sistema di cura perché consentono di erogare cure integrate e continue in termini di azioni clinico-assistenziali multidisciplinari e multiprofessionali, facilitano la condivisione di good e best practice e la maggiore equità di accesso ai servizi per favorire il reale diritto alla salute e la centralizzazione dei pazienti nei percorsi di cura con l’uso ottimale di tutte le risorse, permettono lo sviluppo di economie di scopo e di scala, facilitano la condivisione dei costi assistenziali e anche di quelli di ricerca e sviluppo, favoriscono una maggiore circolazione delle informazioni e della comunicazione interprofessionale, con conseguente accelerazione dei processi di diffusione della innovazione. Ne deriva che costruire reti cliniche è uno dei modi principali per fare contestualmente “Clinical Governance e Integrazione”, i due asset principali di sviluppo, grazie ai quali le questioni della continuità delle cure, della presa in carico completa di “quello specifico paziente” per determinate aree di bisogno/domanda sono condivise tra il livello politico-istituzionale, quello aziendale e quello tecnico-professionale.

Nell’ottica aziendale la realizzazione delle reti si colloca nella dimensione della programmazione (gestione, attività, riprogrammazione) e riconosciamo reti di tipo verticale, orizzontale e quelle dei servizi. Le prime nascono e si sviluppano in un contesto di forte integrazione istituzionale che pone al centro il risultato di salute come valore atteso per il singolo o per una comunità, sono strutturate in maniera trasversale rispetto ai PDTA (Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali) patologie, discipline collegate a specifici stati di bisogno ad es, reti tempo dipendenti, riabilitative o simili. Le seconde sono quelle che pongono al centro il problema di salute del cittadino e i relativi esiti di cura, attraverso risposte qualificate in percorsi assistenziali il cui fattore guida è rappresentato dalla integrazione professionale di attori diversi del sistema di cura all’interno di teams multidisciplinari e multiprofessionali ad es. le reti oncologiche, dell’IMA, cardiologica e altre. Infine troviamo le reti dei servizi ad es. dei centri trasfusionali, dei laboratori, dei trapianti, delle anatomie patologiche.

Il modello di rete clinico-assistenziale (RCA), previsto dal DM 70/2015 aveva come obiettivo quello di assicurare che la presa in carico globale del paziente avvenisse in condizioni che definisco “dei 4 assi” ovvero appropriatezza, sostenibilità, sistema e innovazione. Considerava le RCA lo strumento principale per migliorare la qualità dell’assistenza socio-sanitaria, la collaborazione fra tutti i professionisti, la presa in carico completa e non parziale o, peggio, solo formale, la risposta migliore nei confronti dei loro diversi e sempre più integrati bisogni sanitari e sociali al punto che spesso è difficile capire quali sono e dove finiscono quelli sanitari o quelli sociali visto il loro complesso livello di integrazione. Negli anni abbiamo sviluppato le loro caratteristiche essenziali quali l’integrazione e il coordinamento, la definizione di nodi e connessioni, il sistema di governance, la validazione dei piani di rete, il sistema di monitoraggio e valutazione e l’ottimizzazione delle risorse. Abbiamo poi definito le reti cliniche ospedaliere spinti dalla considerazione che l’invecchiamento della popolazione e il quadro epidemiologico dominato da malattie cronico-degenerative richiedessero una riorganizzazione pesante dei processi di cura con una completa integrazione clinica tra ospedali e la rete dei servizi territoriali attraverso l’adozione di linee guida per la gestione dei diversi PDTA, ma non solo. Le reti cliniche ospedaliere riconoscono due modelli organizzativi di cui il primo, modelli “in rete”, ha valenza clinico-scientifica e si può concretizzare a livello dipartimentale o di una specifica area clinica, mentre il modello “a rete” prevede due sub-modelli: quello hub-spoke e quello poli-antenne (F. Lega, 2003). Il primo si fonda sulla differenziazione degli ospedali in base al loro case–mix: hub è il perno del sistema che tratta, avendone tutte le risorse necessarie, la casistica di media-alta complessità, mentre spoke rappresenta le strutture che effettuano trattamenti di medio-bassa complessità in setting assistenziali diversi. Il secondo modello si costituisce in base alla ricerca della complementarietà tra vocazioni specialistiche dove i poli sono i centri ospedalieri che si specializzano in determinate discipline e sono il perno del sistema per quella specialità, mentre le antenne svolgono la funzione di primo accesso, diagnosi e trattamento di bassa complessità per le discipline trattate dai poli. Definiti i modelli di rete che potremmo creare, bisogna passare alla loro realizzazione quindi ad una serie di azioni che nel 2012 una pubblicazione della Fiaso, coordinata dalla SDA Bocconi, riassumeva nel decalogo della Tabella 1, indagine che aveva interessato lo sviluppo di 88 reti cliniche allora censite nelle 12 Regioni analizzate (al 2022 ne registriamo in Italia circa 220).

DIECI PUNTI PER LA REALIZZAZIONE DELLE RETI CLINICHE NEL SSN/SSR

  1. Coinvolgere la componente professionale nella progettazione e definire chiaramente il suo esatto posizionamento nell’intero sistema – revisione dell’esistente e ideazione condivisa e ufficializzazione dei (nuovi) PDTA e non solo quelli

  2. Valorizzare la rete come opportunità di confronto e di crescita professionale per tutte le figure sanitarie coinvolte – progetti, formazione, simulazione, audit clinici, benchmark…..

  3. Definire chiaramente il sistema di governance della rete : regole, responsabilità, risorse, risultati – definire “chi fa cosa” dove, come e quando, ruoli, autonomia, funzioni e responsabilità dei singoli nodi della rete.

  4. Allineare in fase di definizione gli obiettivi della rete con quelli aziendali e sovraziendali – allineare le azioni cliniche e assistenziali agli obiettivi preventivamente concordati (budget integrati)

  5. Definire con chiarezza il sistema di finanziamento della rete, prevedendo anche le modalità di intervento per le necessità emergenti nel corso del funzionamento – elencare chiaramente le risorse (umane, materiali, tecnologiche e finanziarie) che dovranno integrare e garantire migliorandola l’azione di una offerta già qualitativamente strutturata.

  6. Sostenere il modello da parte della Direzione aziendale prevedendo per il proprio nodo : budget, sistema di verifica, sistema premiante, formazione in coerenza con il progetto

    della rete – rendere evidente il forte commitment delle Direzioni strategiche regionali e delle Aziende sanitarie e ospedaliere coinvolte.

  7. Considerare la relazione tra il nuovo sistema a rete e gli assetti organizzativi «storici» costituendo questi un possibile quanto prevedibile ostacolo

  8. Impostare fin dalla fase di progettazione un sistema «esplicito e condiviso» di valutazione dei risultati ottenuti, chiarendo bene e prima quali sono quelli attesi – definire gli indicatori di processo e di esito che devono essere «sfidanti» e realizzabili integrandosi con quelli aziendali.

  9. Definire gli strumenti informatici di connessione e l’onerosità sui diversi nodi della rete – prima decidere il nuovo modello organizzativo e poi adottare le tecnologie necessarie

  10. Adottare da subito tutti i precedenti punti pena la non realizzazione dell’intero «progetto» che andrà gestito e realizzato con logiche di “project management”

Alla fase di realizzazione/implementazione delle RCA segue, doverosamente, quella della loro valutazione per verificare il livello di miglioramento raggiunto per il paziente valutando l’efficacia della rete in termini di outcome per l’utente finale e per la comunità di riferimento. Si tratta di valutare dimensioni quali il conseguimento della centralità del paziente nel processo di cura e di conseguenza il miglioramento della «patient experience» e l’incremento della qualità delle cure, ma anche lapercentuale di utenti che ha trovato risposta ai propri bisogni attraverso servizi erogati dalla rete o la maggiore equità, geografica o sociale, di accesso ai servizi intendendo quindi l’efficacia della rete anche in termini sociali e ri-distributivi. Oppure si può valutare l’outcome di processo, ovvero il livello di sviluppo e l’efficacia dei meccanismi di funzionamento delle reti, ad es. la presenza di strutture di governance chiare che rappresentino tutti i vari stakeholder, l’effettivo coinvolgimento di tutte le organizzazioni nella rete, la presenza di una pianificazione strategica di rete e della programmazione operativa aziendale, l’intensità degli scambi tra i diversi nodi della rete o la messa in atto di meccanismi di collaborazione e coordinamento efficace tra tutti i nodi della rete. Nella Tabella 2 sono riportati i diversi indicatori dei sistemi di valutazione in base ai diversi stakeholder delle reti cliniche (Fiaso-SDA Bocconi, 2012)

SISTEMA DI VALUTAZIONE PER I PRINCIPALI STAKEHOLDER DELLE RETI CLINICHE

Pazienti / Utenti

Standard di percorso: rispetto degli standard previsti come azioni, tempi, priorità, … Equità in accesso: uguale offerta senza distinzioni geografiche, sociali, culturali, … Continuità di cura e presa in carico effettiva: unico interlocutore come referente dell’intero ciclo di trattamento, … Informazione e comunicazione: conoscenza e coinvolgimento attivo nelle varie fasi o luoghi di cura ….. Attenzione al paziente: coinvolgimento e sua partecipazione attiva alle scelte terapeutiche, … Riduzione costi anche sociali per la famiglia: minori costi diretti ed indiretti sopportati.

Istituzioni

Qualità ed appropriatezza dei servizi: supporto EBM scelte terapeutiche, volumi minimi per garantire casistica adeguata, percentuale di pazienti trattati all’interno dei vari PDTA, … Recupero di efficienza: offerta adeguata alla domanda, ottimizzazione dell’uso di tutte le risorse, riduzione costi generali, … Attività delle strutture: potere di attrazione attiva e riduzione di quella passiva, … Integrazione Territorio-Ospedale-Territorio: integrazione dei diversi livelli di cura, previsione sedi di erogazione, scambio di conoscenze fra i professionisti coinvolti, … Integrazione assistenziale sanitaria e socio-sanitaria: coinvolgimento e verifica della effettiva operatività di figure professionali diverse, in sede diverse di istituzioni diverse, … Appropriatezza uso risorse: verifica su dati aggregati di spesa divisi per paziente, percorso, struttura, unità organizzativa, … Rapporto con gli utenti: coinvolgimento loro rappresentanti nelle sedi di governance della rete….

Professionisti

Sviluppo delle conoscenze: preparazioni nuove linee guida, protocolli di cura, … Trasferimento delle conoscenze e formazione: nuove conoscenze, competenze,capacità, comportamenti, abilità, ruoli, funzioni, diversi sistemi di sviluppo formativo..Incremento attività di didattica e ricerca: nuove conoscenze, nuovi sistemi di valutazionedella rete stessa, nuove evidenze,.. Accesso ad innovazioni tecnologiche: nuovi modellidi cura e sviluppo di nuovi rapporti multidisciplinari e multiprofessionali, … Integrazioni professionale: sviluppo team clinici, uso di second opinion, … Sviluppo comunità professionali: possibilità di partecipare a tavoli di programmazione, aziendali, interaziendali, regionali, nazionali e in generale riconoscimento nelle diverse comunità professionali che compongono la rete, …

Nel 2021 l’OMS Europa descriveva in un suo rapporto gli impatti economici-finanziari e quelli sociali con i relativi benefici generati dai sistemi sanitari, concludendo che il settore sanitario:

  1. è essenziale nel determinare la performance economica e la stabilità di un Paese;

  2. ha un impatto positivo sul risultato economico di altri settori dell’economia nazionale, attraverso i posti di lavoro generati e gli acquisti di beni e servizi;

  3. ha un ruolo importante da svolgere nella riduzione dell’esclusione sociale a livello locale, a causa del suo impatto sulla occupazione, le condizioni di lavoro e il reddito delle famiglie;

  4. può aumentare il suo status di settore chiave per portare avanti l’attuazione degli obiettivi locali e nazionali per uno sviluppo sostenibile, migliorando le sue funzioni inerenti l’occupazione, la formazione e gli acquisti.

Questi sono anche i motivi per cui diventa importante misurare, a distanza di anni dalla loro implementazione, l’efficienza anche economica delle RCA nel nostro SSN/SSR rispetto ai modelli di cura abituali. In questa area di ricerca la bibliografia non presenta dati divergenti per cui si può concludere che i percorsi di cura sono da adottare perché riducono gli errori di sistema, migliorano la qualità dell’assistenza e riducono, contestualmente, i costi generali. Sfortunatamente la qualità non elevata degli studi sulla loro efficacia limita la capacità di avere una misura oggettiva delle reti cliniche come strumento per migliorare l’assistenza sanitaria e la misura del “valore” per il paziente. L’obiettivo finale è che decisori politici, clinici, ricercatori e pazienti lavorino sempre di più insieme per progettare valutazioni precise per potere dimostrare il loro reale impatto, anche sotto il punto di vista finanziario. Quali sono le prospettive della loro progressiva implementazione e quali sono le criticità attuali? Una prima considerazione parte dall’analisi delle configurazioni organizzative di H. Mintzberg da cui emerge che, anche nel mondo sanitario e socio-sanitario, è in atto il passaggio dalle forme attuali totalmente verticalizzate, accentrate funzionalmente e gerarchicamente formalizzate, con processi decisionali di tipo top-down (burocrazie professionali), a strutture sempre più progressivamente di tipo adhocratico (top–down e bottom–up in equilibrio dinamico) in cui domina l’elevata integrazione delle mansioni e delle diverse competenze professionali. Questo è il tipo di configurazione adatta per le innovazioni delle “organizzazioni complesse”, quali sono quelle sanitarie, perché in grado di diffondere competenze diverse in gruppi di lavoro integrati e coordinati verso specifici obiettivi che possono cambiare anche rapidamente nel tempo.

Una prima conseguenza di questo cambiamento, peraltro già in atto, porterà l’attuale “middle management” delle Aziende sanitarie ad avere una posizione nuova, diversa e molto strategica essendo loro i professionisti che detengono l’autorità formale e le competenze professionali che gli permettono di essere il collegamento fra il vertice strategico e il nucleo operativo. Per questo motivo saranno al centro delle nuove funzioni aziendali ovvero i processi/progetti, l’integrazione, il coordinamento e lo sviluppo di piattaforme produttive. Le 5 famiglie professionali coinvolte e i 12 profili in cui troviamo oggi raccolto tutti i “middle managers” delle Aziende sanitarie saranno sempre più coinvolti nelle sinergie per l’efficacia, nelle garanzie degli outcome, nella continuità delle cure, nella integrazione multidisciplinare e multiprofessionale, nelle nuove azioni assistenziali sempre più orientate al paziente, nella sicurezza e qualità delle cure, nella valorizzazione e sviluppo delle risorse umane, nell’ottimizzazione nell’uso delle risorse, nella responsabilizzazione economica-finanziaria, nella organizzazione e sviluppo della ricerca. In questo quadro il middle management sarà sempre più visto con un forte connotato strategico in quanto gli sarà affidato anche il compito di negoziare/gestire obiettivi di budget e di performance.

Un secondo punto di analisi delle reti cliniche come risposta alla richiesta di Clinical governance e integrazione nel SSN/SSR ci porta a pensare a nuovi modelli di RCA altamente flessibili, decentrate e de-verticalizzate fondate sull’interdipendenza tra unità organizzative, su continui scambi di informazioni e su sistemi decisionali decentrati, conosciuti, condivisi e coordinati. A questo proposito si potranno sperimentare nuovi strumenti nelle organizzazione sanitarie “adhocratiche” tipo la value creation structure, il job sharing o il task shifting, processo di delega in base al quale i compiti vengono spostati, se del caso o per necessità, da forza lavoro altamente specializzata a operatori sanitari meno specializzati. Questi sono i presupposti per abbattere stabilmente i mitici “silos” che ancora oggi governano pesantemente tutto il nostro SSN/SSR.

Accanto ai vari silos della assistenza sanitaria, che da sempre ostacolano i processi di disinvestimento e riallocazione delle risorse, esite un primo grande silos che contiene varie tipologie di spesa sociale di interesse sanitario che è in continua crescita, che oggi vede due contenitori separati per la spesa sanitaria e per quella sociale e che rimanendo come forma separata e non organizzata di risposta ai bisogni “complessi e integrati” dei pazienti non potrà mai essere davvero performante non permettendo l’integrazione della assistenza socio-sanitaria residenziale e semiresidenziale e di quella domiciliare e territoriale. Questo modello organizzativo comporta da sempre problemi di diverso genere come si evince da studi diversi, infatti già nel 2016 uno studio dell’OCSE (Improving care pathways for elderly people) aveva dimostrato che il costo dei ricoveri evitabili negli ospedali da parte delle strutture di lungodegenza (LTC) era, in Europa, di circa 18 miliardi di dollari, e questa cifra equivaleva al 2.5% di tutta la spesa per l’assistenza ospedaliera ovvero al 4.4% della spesa LTC. Un chiaro esempio di costi della “Non Qualità” ovvero risorse consumate per fare bene cose inutili o sbagliate. Questi studi permettono di fare alcune considerazioni circa la necessità di ridefinire i budget delle strutture secondo percorsi di cura, non limitandosi solo a retribuire le singole prestazioni erogate, creando bilanci unici e integrati di cura e LTC, unificando regole, procedure e, magari, arrivando ad usare una cartella clinica digitale unica per ogni paziente. (https://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato1694596546.pdf)

E’ necessario un approccio sistemico per cambiare i paradigmi e ragionare seguendo “il flusso di pazienti” fuori e dentro gli ospedali e ciò richiede l’impegno e la collaborazione di team multidisciplinari per lavorare verso obiettivi comuni durante l’intero percorso clinico-assistenziale del paziente. Poiché gli ospedali si dovranno concentrare sempre più sull’assistenza basata sul valore (high cost, high tech, high performance) e non potranno continuare a vicariare altri setting assistenziali, è probabile che gli incentivi continuino a crescere per i cambiamenti gestionali fatti per migliorare il flusso di pazienti attraverso tutte le strutture sanitarie “in rete”. Gli ospedali che supportano questi cambiamenti culturali e gestionali saranno nella posizione migliore per migliorare il flusso di cura completo dei loro pazienti. Una gestione efficace del flusso dei pazienti negli ospedali aumenta la velocità di erogazione e la qualità dell’assistenza ai pazienti, migliora la loro soddisfazione e quella dei dipendenti e riduce complessivamente tutti i costi sanitari. Per tutti questi motivi, e non solo, è evidente che non può esistere una rete clinica senza ospedali ma anche non esistono e non potranno resistere, ospedali senza una rete, ovvero senza una reale e ben strutturata integrazione territoriale. Questi cambiamenti saranno necessari e inevitabili e gli strumenti per realizzarli sono già oggi presenti e sono quelli tecnici (pianificazione, programmazione e controllo) ma anche, e soprattutto, quelli “non tecnici” ovvero le “soft skills”. Il loro uso sapiente e integrato permetterebbe in poco tempo di fare quello che non abbiamo fatto negli ultimi decenni e riconoscere il punto fondamentale, e vincente, delle reti cliniche, ovvero quello di essere “reti di persone”. Quindi dovremo pensare a diversi piani di formazione come forme e contenuti, sapendo che anche il mondo sanitario sarà sempre più “ VUCA “ ovvero volatile, incerto, complesso e ambiguo. Non potremo quindi continuare a dimenticarci di uno strumento come il project management che è una soluzione vincente perché è uno strumento di gestione manageriale che permette di affrontare situazioni nuove e complesse, coordinando persone, tecnologie e strutture per realizzare soluzioni efficaci ed innovative in un periodo definito e con un budget predeterminato. Ma il vero valore per le organizzazioni sanitarie che deriva dall’uso costante del project management è quello di essere uno strumento potente di cambiamento organizzativo e il cambiamento organizzativo si ottiene lavorando sulla cultura e quindi sulle competenze individuali che sono alla base delle organizzazioni, non il ruolo o la funzione.

Concludo con alcune indicazioni contenute nel Rapporto OASI-Bocconi del 2023 che tracciano alcuni passi non indolori ma necessari da fare subito:

  • una analisi dettagliata dei consumi dei pazienti con profili di salute omogenei, per individuare le aree di over e under-treatment, considerando nel conteggio anche quanto erogato nel regime privato (out of pocket e sanitàintermediata);

  • una limitazione delle prescrizioni a quanto effettivamente erogabile;

  • uno snellimento delle procedure facendo coincidere il momento della prescrizione e della prenotazione;

  • una riorganizzazione dei servizi passando dalla logica prestazionale a quella del percorso di cura, una modalità di spendere i fondi PNRR in modo più efficiente di un semplice potenziamento dei servizi a modello invariato, che non avrebbe possibilità di rivelarsi sostenibile nel lungo, ma anche nel breve periodo.

Le reti cliniche sono dunque uno strumento vincente per fare davvero Clinical governance & Integrazione nel SSN/SSR a patto di usare nella loro costruzione, o manutenzione, 3 fattori essenziali: i dati, “senza dati sei una persona con un opinione”, come scriveva W.E. Deming; i leader ovvero coloro che sanno fare le cose giuste non semplicemente farle bene e le azioni perché per il nostro SSN/SSR è finito il tempo delle parole, ora dobbiamo agire.

Articolo pubblicato su Toscana Medica, 19 Marzo 2024

Accreditamento e Project Management in sanità : le idee e le azioni

MAURIZIO DAL MASO, ASSOCIATE FOUNDER HEALTHABILITY SOCIETÀ BENEFIT, FIRENZE

I progetti viaggiano sulle gambe delle persone perché sono loro a fare davvero la differenza nelle organizzazioni.

Nel mondo della sanità questo è particolarmente vero dato che studi recenti hanno dimostrato che il 75% del successo a lungo termine in una azione sanitaria dipende dalle soft skills mentre solo il 25% è attribuibile alle competenze tecniche (hard skills). E’ interessante segnalare che, a questo proposito,  l’attuale sistema di finanziamento della formazione in sanità prevede una ripartizione che andrebbe rapidamente rivista perché assegna l’80% di ogni euro alle hard skill e solo il 20% a quelli “soft” che sono quelli “vincenti” per le organizzazioni.

Ecco perché è prioritario aumentare la conoscenza di strumenti indispensabili per le organizzazioni sanitarie come quelli legati al mondo della qualità, della sua certificazione e accreditamento e adoperare in modo continuativo le logiche di Project Management, strumento necessario per portare in modo efficace e controllato l’innovazione nel nostro sistema sanitario: è uno strumento potente di cambiamento organizzativo. Le competenze individuali sono alla base delle organizzazioni, non il ruolo. Il cambiamento organizzativo si ottiene lavorando sulla cultura e quindi sulle competenze individuali.

Questo è quello che troverete leggendo il capitolo “Accreditamento e Project Management in sanità : le idee e le azioni”, che ho scritto all’interno della pubblicazione “Total Quality Management“ Cuzzolin Editore, Napoli, 2022

La misura del cambiamento del nostro SSN/SSR

Maurizio Dal Maso, Associate founder Healthability Società Benefit, Firenze

… la minaccia al Ssn non è costituita dalle cliniche e dagli ospedali di proprietà privata inseriti all’interno del sistema di offerta pubblico che “sottraggono risorse”, come talvolta capita di ascoltare anche dai manager del SSN. Il nemico è il mondo delle assicurazioni che, allo stato dei fatti, gradualmente sostituirà il pubblico nella funzione di “tutela”, vera essenza del Ssn. Questa morte indolore non sarà sgradita alla politica che continua a proclamare che il SSN è un irrinunciabile pilastro di equità sociale, ma si mostra incapace a tutelarlo. E non ha neanche bisogno di assumere posizioni diverse. Il passaggio fatale – come capita sempre più raramente fra gli umani – avverrà ineludibilmente, per progressivo rallentamento delle funzioni vitali e delle relazioni con il mondo esterno, fino a che parenti e amici che ancora manifestano al morente amore ed affetto si rassegneranno alla perdita e l’ultimo che gli sta tenendo la mano, con voce sommessa, annuncerà: non è più con noi.

Questo scriveva poche settimane fa Giovanni Monchiero, oggi editorialista di Panorama della Sanità. Conoscendo la persona e la sua storia di manager nel mondo del SSN pubblico negli ultimi 40 anni, come pure è successo a me, ho pensato che forse era una previsione troppo negativa. Poi, lentamente, mi sono tornati in mente i miei ultimi 20 anni e le tante responsabilità manageriali come direttore sanitario, direttore generale e commissario straordinario, e ho capito che aveva perfettamente ragione: è solo una questione di tempo, non di merito né di metodo, perché già oggi sono ormai chiari e visibili i segnali.

Perché siamo arrivati a questo punto? Potremmo pensare che gli anni del Covid hanno dimostrato quello che già sapevamo, ovvero l’esistenza di un eccessivo uso dell’autonomia gestionale delle Regioni – alcuni parlano di “anarchia istituzionale” – sugli aspetti essenziali della salute, intesa come l’uso adeguato delle risorse dedicate dalla collettività alla sanità secondo criteri di appropriatezza ed efficienza per fornire servizi di elevata qualità garantendo ai cittadini l’accesso, l’uguaglianza e l’equità. A questo proposito basta ricordare cosa si intende per uguaglianza, ovvero l’assenza di discriminazione tra le persone nell’accesso ai servizi assistenziali, nell’allocazione delle risorse e nell’offerta di opportunità, mentre l’equità è invece altra cosa oltre al semplice accesso ai servizi assistenziali: l’allocazione delle risorse e l’offerta di opportunità giusti e trasparenti.

Un sistema sanitario equo dovrebbe riuscire a dare servizi diversi a bisogni diversi, proprio perché non c’è nulla di più iniquo del fatto di dare risposte uguali a bisogni diversi. È chiaro che oggi dei tre parametri permane, anche se migliorabile, solo l’uguaglianza mentre accesso ed equità sono già fortemente compressi. Uno dei punti fondanti del nostro SSN, quindi, fortemente in crisi, l’equità, intesa come l’accesso ai servizi assistenziali, l’allocazione delle risorse e l’offerta di opportunità giuste e trasparenti, tenendo conto che le persone hanno bisogni, poteri e competenze diversi fra loro e che tali differenze devono essere identificate e orientate in modo di riequilibrare gli squilibri stessi. Rimane l’uguaglianza ma da sola non è sufficiente a garantire un SSN/SSR giusto ed efficace.

Identico discorso si può fare per l’accesso che è un fattore legato alla gratuità delle cure che, i dati degli ultimi 40 anni hanno mostrato, non esiste più nella misura in cui la quota di pagamento “out of pocket” resta ormai stabile sopra al 20% e copre nell’80% dei casi prestazioni previste nei LEA, quindi già “pagate” dai cittadini ed erogate nel SSN/SSR, ma non secondo tempi, modi e luoghi da loro graditi ed accettati.

Aggiungiamo anche che il concetto di salute oggi è molto diverso da quello, a tutti noto, dichiarato dall’OMS nel 1948, che infatti già dal 2011 affermava come la salute sia la capacità di adattamento e di autogestione di fronte alle sfide sociali, fisiche ed emotive. Questo significa che la salute viene intesa come convivenza ed accettazione dello stato di salute di “quel momento” che comunque consente la capacità di autogestirsi, quindi di vivere anche in condizioni di irreversibile perdita della salute stessa.

Sappiamo quanto la popolazione sia progressivamente invecchiata con il conseguente aumento delle malattie croniche ed è quindi evidente che si dovrà cambiare radicalmente il paradigma di cura. La presa in carico del soggetto “cronico” o pluripatologico, perché portatore di più patologie croniche contemporaneamente, deve avere un ruolo primario nella programmazione degli interventi clinici e socio-assistenziali, superando l’approccio tradizionale per andare verso una valutazione globale e multidisciplinare dei bisogni/domanda a cui dare, finalmente, una nuova e diversa risposta organizzativa.

Credo sia ormai ora di smettere di dire, nei fatti, ai nostri pazienti quello che Henry Ford scriveva nel 1922, ovvero che “ogni cliente può ottenere una Ford T colorata di qualunque colore desideri, purché sia nero”. Già oggi potremmo programmare il governo della domanda con uno strumento come il PHM (Population Health Management) che mette in grado di gestire la filiera dei servizi coinvolti nelle diverse fasi della malattia (dalla prima diagnosi fino alle cure di fine vita), accompagnando la fruizione da parte del cittadino di nuovi servizi, integrati nell’evoluzione del CCM (Chronic Care Model), attraverso la gestione di percorsi di cura predisposti ex ante che declinino la qualità delle cure in termini di prestazioni ritenute appropriate e di luoghi di erogazione. Ovvero l’essenza di quella “Value Based Healthcare” che potremmo definire come la possibilità di dare esattamente quello che serve a quel particolare paziente, niente di più e niente di meno. Oggi possiamo farlo. Identificare e segmentare la popolazione attraverso specifici algoritmi che distinguono le coorti per condizioni di salute o patologie diverse, predisporre modelli di offerta e di presa in carico specifici per target di popolazione, attivare sistemi di monitoraggio orientati alla valutazione degli outcome per target di popolazione usando big data, data analitics e intelligenza artificiale a supporto dell’intera strategia di PHM.

La sfida che abbiamo davanti oggi nasce da più fattori: l’invecchiamento della popolazione, la sempre maggiore ed esigente aspettativa di vita in buona salute, l’aumento progressivo delle patologie croniche, l’evoluzione esponenziale delle nuove tecnologie disponibili. Tutto ciò impone in modo sempre più stringente di conseguire l’obiettivo dell’efficientamento e della sostenibilità, cioè la vera sfida delle politiche sanitarie nell’immediato futuro e più ancora nel medio periodo.

Elio Guzzanti scriveva nel 2006 che “affrontare il problema degli ospedali e, soprattutto, del loro futuro comporta necessariamente una visione non limitata all’ospedale come struttura edilizia ma estesa a molti altri fattori quali le linee di indirizzo della politica sanitaria, le modalità di finanziamento del sistema sanitario e degli ospedali ed anche il progresso scientifico e tecnologico oltre che l’evoluzione demografica ed epidemiologica. Tutti fattori che determinano le esigenze e le priorità da affrontare da parte dei sistemi sanitari ed il ruolo che in questo contesto viene affidato all’ospedale”. Pertanto dovrà essere riletto il modello di Ospedale: sempre più flessibile, in una logica che coniuga l’ innovazione tecnologica con quella organizzativa funzionale, anche per traguardare in senso più generale l’evoluzione dell’ospedale in futuro e per ampliare il perimetro contestuale dentro il quale tale trasformazione si dovrà realizzare. ( https://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato1694596546.pdf).

È indubbio che esista un problema di risorse complessivamente intese ma è altrettanto noto che in qualsiasi settore aziendale migliorare la performance e la “accountability” dipende dall’avere degli obiettivi condivisi che uniscano gli interessi e le attività di tutti gli stakeholders. E infatti il concetto di valore si riferisce al risultato raggiunto anche in rapporto al costo atteso del trattamento. Inoltre definire e misurare il valore è essenziale per comprendere la performance di qualsiasi organizzazione sanitaria e per orientarla verso il miglioramento continuo ed infatti, nell’assistenza sanitaria, il valore è anche l’esito in termini di salute raggiunta dal paziente per ogni euro speso.

L’essenza delle prossime azioni in campo di management sanitario sarà privilegiare quelle orientate alla misurazione accurata dei fenomeni che vorremo gestire e migliorare, ricordando quello che scriveva Daniel Yankelovic nel 1972 (Corporate priorities : a continuing study of the new domands of business). Il suo pensiero esprimeva la complessità della misurazione e implicitamente sottolineava quanto sia indispensabile gestire le dinamiche aziendali prestando attenzione a ciò che è davvero importante e mettendo in discussione tipici, spesso automatici, comportamenti organizzativi che ostacolano il miglioramento. Peccato che ancora oggi nelle organizzazioni sanitarie il pensiero che si percepisce sempre presente e dominante è “abbiamo sempre fatto cosi”. È evidente che non potremo che migliorare, in futuro!

Concludo con alcune riflessioni riportate nell’ultimo Rapporto Oasi 2023 Cergas-Bocconi che indicano i passi non indolori ma necessari da fare subito :

  • un’analisi dettagliata dei consumi di pazienti con profili di salute omogenei, per individuare le aree di over- e undertreatment, considerando nel conteggio anche quanto ottenuto in regime privato;

  • la limitazione delle prescrizioni a quanto effettivamente erogabile;

  • lo snellimento delle procedure, facendo coincidere i momenti della prescrizione e della prenotazione.

Questo comporterà una riorganizzazione dei servizi, passando dalla logica prestazionale a quella della presa in carico (il percorso di cura) con la conseguente necessità di cambiare il sistema di finanziamento. Questo cambiamento sarebbe una modalità di spendere i fondi del PNRR in modo più razionale rispetto al semplice potenziamento dei servizi a modello sostanzialmente invariato che, oltretutto, non avrà possibilità di essere sostenibile nel lungo periodo.

PNRR e sanità: la social innovation per una sanità sostenibile

Introduzione

Letizia Bocciardi, FOUNDER & CEO HEALTHABILITY SOCIETÀ BENEFIT, FIRENZE

La pandemia è stato un acceleratore per molti aspetti, e quello tecnologico emerge in modo particolare. Ma il cambiamento più dirompente è stato sicuramente quello sociale. Le persone stanno rivedendo, soprattutto nel mondo occidentale, le loro aspettative e i loro bisogni di lungo termine e chiedono a gran voce che le loro istanze vengano ascoltate. Il tema della salute delle persone, degli animali e dell’ambiente, inteso come OneHealth, è la prima richiesta di attenzione e cura che i cittadini fanno ai governi. Per rispondere ai bisogni di attenzione e cura, in logica di social innovation, è necessario cambiare il paradigma rispetto al tradizionale approccio di progettazione ed erogazione dei servizi (Figura 1): (1) il processo di innovazione è aperto verso la società, (2) il suo orientamento è concentrato sulle sfide prioritarie, (3) una forte ricognizione di strumenti di innovazione non tecnologica va a favore del cambiamento dei comportamenti sociali.

Figura 1

Social Innovation: towards a new innovation paradigm [1].

Gli scenari

Se accettiamo la definizione di salute come OneHealth, e cioè di uno stato di benessere biopsico-fisico complessivo per l’essere umano, per gli animali e per l’ecosistema, non possiamo sottovalutare nessuno degli eventi ipotizzati per il prossimo futuro. Questo ci porterà a gestire numerosi progetti/ programmi relativi a emergenze sanitarie, riscaldamento globale e alle relative ripercussioni sull’ambiente che potrebbero condurci verso un’emergenza alimentare globale, determinando rivolte, migrazioni di massa e migliaia di vittime. I progressi nella tecnologia forniranno il potenziale per affrontare problemi come il cambiamento climatico e le malattie, ma possono anche provocare nuove tensioni che vanno analizzate e gestite a livello progettuale per aumentare le probabilità di successo dei programmi. Anche se la salute, l’istruzione e la prosperità delle famiglie hanno fatto miglioramenti storici negli ultimi decenni, questo progresso sarà difficile da sostenere a causa dei “venti contrari” causati non solo dagli effetti della pandemia, ma anche dall’invecchiamento della popolazione e dalla crescita economica potenzialmente più lenta. Per sostenere questi progressi ed evitare una regressione i governi dovranno attivare strategie e programmi ad hoc. Dal punto di vista geopolitico si prospettano scenari molto contrastanti tra loro. Da un mondo alla deriva, caotico e instabile, a una rinascita delle democrazie, con boom economico e soluzioni alle criticità interne. Tutto questo preannuncia scenari incerti e cambiamenti costanti. Il rapporto “Global Trend 2040: Navigating A More Contested World” [2] è un’interessante ricerca per comprendere gli effetti della pandemia e delle logiche geopolitiche sulle sfide mondiali del futuro delle forze strutturali quali società ed economia. Leggendo gli scenari si evince quanto sia importante che i decisori politici ripensino la sanità in una logica di equilibrio tra domanda dei cittadini e capacità di governo della “cosa pubblica”. Tecnologia e bisogni dei cittadini diventano potenti driver di cambiamento per disegnare nuovi equilibri sociali. Mentre stiamo scrivendo, gli scenari rischiano di mutare costantemente per motivi geopolitici, e l’analisi alla quale facciamo riferimento impone interventi di project management di alto livello con pianificazione di lungo termine, interventi di breve termine, analisi del rischio e attenuazione del potenziale impatto del problema.

Una grande opportunità: il PNRR

Senza alcun dubbio, la sanità avrà un impatto sociale, e i fondi del PNRR, il SSN/SSR potranno essere strumenti per vincere le sfide e per adeguarsi ai bisogni emergenti di cittadini e pazienti. Avremo l’opportunità di disegnare realmente un’organizzazione universalistica equa e solidale, in grado di adattarsi ai nuovi scenari, purtroppo prevedibili per quanto riguarda nuove povertà, fragilità e altre pandemie. Gli strumenti economici per affrontare queste complessità, quindi, oggi non mancano. Possiamo accedere a cospicui fondi europei; le tecnologie digitali sono potenti strumenti di informazione e connessione; per la prima volta dopo oltre 10 anni si possono affrontare investimenti rilevanti e c’è un piano articolato 2022/2026 per destinarli a strutture e infrastrutture; saranno costruite case della comunità, ospedali di comunità, reti digitali e connessioni ultratecnologiche. Tutto questo non può che essere considerato una grande opportunità per il futuro della sanità. La domanda è se sarà sufficiente. Per esempio, benché gli strumenti metodologici, tra cui le best practice di project management che supportano i controlli di gestione progettuale, siano maturi e disponibili, potrebbero non esserci ancora abbastanza persone formate a utilizzarle. A oggi è confermato che stentano a partire i progetti per rispondere ai nuovi bisogni sociali, alle relazioni socio-sanitarie che andranno a modificarsi, a nuovi paradigmi per la gestione delle organizzazioni e nuove idee per affrontare il cambiamento. In questi progetti si parla ancora troppo poco di persone, di processi psicodinamici delle relazioni, di comunicazione e di collaborazione. Va ancora ben consolidato lo scope progettuale in relazione agli obiettivi sociali che si vogliono conseguire. Tra gli obiettivi di progetto, oltre a costruire edifici e dotarli di super tecnologie, bisogna capire anche come abbattere i silos culturali e ricostruire relazioni di fiducia, distrutte in molti anni di sistemi chiusi, entropici e di medicina difensiva per garantire una delivery efficace che risponda alle esigenze delle persone. Per ottenere questi risultati servirà attivare dei progetti che consentano alla Sanità italiana di entrare nella cultura della sperimentazione, disegnare strategie di lungo termine e allo stesso tempo ripensare modelli sanitari coerenti, insegnare alle persone a collaborare tra loro per passare da sistemi entropici a sistemi aperti e collaborativi. L’obiettivo sarà quello di non avere più ruoli che parlano a ruoli (medico-paziente) ma individui che collaborano con altri individui per la realizzazione di un lavoro all’interno della società. Dove il paziente non è al centro, ma è al fianco, è uno dei nodi della rete di comunicazione, condivisione e collaborazione. Un protagonista della gestione della propria salute e di quella della comunità, che insieme a medici, professionisti sanitari e decisori, contribuisce a trovare le soluzioni per la presa in carico, la continuità di cura e la sostenibilità del sistema salute. L’innovazione sociale sarà, quindi, soprattutto nel cambio di paradigma, nel pensiero creativo che crea nuova conoscenza [3]. L’innovazione tecnologica e la significativa disponibilità economica del momento sono strumenti abilitanti per il raggiungimento degli obiettivi. È necessario andare oltre l’ipotesi di investimenti strutturali (edifici) e infrastrutturali (reti digitali) e ripensare il sistema nel suo complesso puntando soprattutto sulle persone e sul disegno di nuovi modelli relazionali.

Un nuovo paradigma

Il Servizio Sanitario azionale, prima, e regionale poi, per oltre 40 anni ha fatto il proprio dovere. A volte con fatica, non sempre in modo equo e omogeneo. Ma i cittadini per molto tempo si sono sentiti protetti da un servizio sanitario basato su principi universalistici, volti a proteggere la salute di ogni persona non soltanto come bene individuale ma soprattutto come risorsa della comunità. Adesso questo sistema sta dimostrando tutti i suoi limiti. Troppo rigido, asfittico e obsoleto, non adeguato a rispondere ai nuovi bisogni della società, necessita di una profonda revisione, non più solo organizzativa con approcci lineari. È necessario intervenire nel profondo delle organizzazioni e nel sistema nella sua interezza, per la presa in carico del paziente in modo olistico, ecosistemico. Più in particolare, c’è bisogno di un nuovo significato, un nuovo purpose [4] e un nuovo progetto che abbia un tratto rivoluzionario perché lo scisma del conflitto tra vecchio e nuovo generi nuove opportunità. Solo così sarà possibile risolvere i problemi che affliggono da molto tempo il Servizio Sanitario e tracciare una nuova direzione. Per uscire dalla crisi serve, quindi, un cambio di prospettiva. Bisogna cambiare regole e visione, adeguare il proprio sguardo a un nuovo modo di interpretare la realtà. Prima che si stabilisca un nuovo paradigma, una nuova normalità, esiste un momento in cui tutte le possibilità sono aperte. Questa è una grande occasione per ripensare i modelli socio-sanitari guardando al futuro, considerare i vecchi modelli non più validi e inventare soluzioni nuove. L’importante è avere chiara la direzione da intraprendere e disegnare un servizio sanitario equo e sostenibile [5].

Change management: ripensare le organizzazioni dall’interno è la vera sfida del SSN

Se è vero che per avere un servizio socio-sanitario universalistico e sostenibile è necessario re-immaginare un nuovo significato della sanità e riprogettare strutture e infrastrutture, non possiamo certo dimenticare le persone, vero motore del servizio al cittadino e al paziente. Dovremo iniziare a ripensare agli obiettivi, al perché il servizio socio-sanitario è così importante per la comunità e comprendere che il concetto di valore condiviso può essere la sola leva sulla quale impostare una sanità di prossimità, vicina alle persone. In questo senso dobbiamo agire su due fronti: dare un nuovo significato al termine “servizio”, non più mero output di un processo sequenziale che va dal fornitore, unico creatore di valore, al consumatore, ma fornitura di risorse a un beneficiario che le integra con altre risorse di mercato, pubbliche e private, generando un processo di co-creazione di valore [6]. Il secondo, propedeutico a che il primo cambiamento avvenga, è introdurre la cultura della collaborazione a tutti i livelli aziendali per andare verso modelli organizzativi piatti e collaborativi, più snelli, inclusivi e adattabili a tutte le innovazioni che ci riserverà il futuro. Fondamentale per ottenere questo risultato è cambiare il modello da leadership verticale a leadership diffusa nei ruoli chiave, per decisioni e interventi rapidi, e introdurre una cultura di collaborazione interaziendale per la presa in carico complessiva del paziente [7]. Serve quindi implementare un programma di change management per ripensare le organizzazioni dall’interno lavorando in modo strutturato e per superare le naturali resistenze al cambiamento che presentano progetti così complessi.

Progettare con il Design Thinking

Dal punto di vista operativo uno degli strumenti più adeguati a ridisegnare un sistema complesso come quello sanitario è il Design Thinking (DT). Un metodo che ha un certo carattere rivoluzionario, se inserito all’interno di organizzazioni con assetti aziendali molto normati, con ruoli e gerarchie di comando verticistici, cambiamenti lenti, performance non soddisfacenti che ripetutamente producono deficit. Con il DT è possibile affrontare un progetto partendo dall’analisi del contesto, definire una strategia, risolvere problemi, ideare prodotti e servizi, ripensare modelli organizzativi e lavorare sul clima aziendale. È uno strumento versatile per piccoli e grandi progetti. La caratteristica più interessante del DT è il pensiero divergente e multi-disciplinare per la ricerca di nuovi significati in grado di rispondere ai bisogni degli stakeholder. Ma non meno importante è la ricerca continua di nuove soluzioni per i problemi. È a supporto della progettazione di un prodotto, un servizio o per assumere una decisione strategica. È un approccio molto fattivo che serve a mettere a terra progetti concreti, partendo da una condivisione comunitaria ed ecosistemica. Il metodo mette al centro le persone con i loro bisogni e si propone di trovare soluzioni efficaci per soddisfarne le esigenze. Tra le varie classificazioni dei principi del DT, la più interessante per ripensare il sistema sanitario nazionale e adeguarlo ai nuovi bisogni sociali è sicuramente quella elaborata da C. Meinel e H. Leifer dell’HassoPlattner-Institute of Design della Stanford University [8]:

  • la regola umana: indipendentemente dal contesto, tutte le attività di progettazione sono di natura sociale e qualsiasi innovazione fa riferimento a un punto di vista human centered;

  • la regola dell’ambiguità: un problema può essere interpretato in più modi diversi. L’ambiguità è inevitabile e non può essere completamente rimossa o semplificata. Sperimentare e progettare ai limiti delle conoscenze e abilità è fondamentale per poter vedere le cose in modo diverso;

  • la regola della riprogettazione: mentre la tecnologia e le circostanze sociali possono cambiare ed evolvere, i bisogni umani fondamentali rimangono invariati. In sostanza, con il Design Thinking si tratta di riprogettare solo i mezzi per soddisfare questi bisogni e raggiungere i risultati desiderati;

  • la regola della tangibilità: rendere le idee tangibili, sotto forma di prototipi, consente ai progettisti di comunicarle in modo più efficace e far emergere velocemente eventuali aspetti da migliorare.

Inoltre, il DT prevede 5 fasi di progettazione (Figura 3), seguendo le linee guida del citato Istituto di design della Stanford University: Empatizzare, Definire, Ideare, Prototipare e Testare. Per definizione, il processo di DT segue in parte una sequenza logica sulla base di un ordine già impostato. Il processo di DT non è lineare, ma flessibile e fluido, perché a ogni nuova scoperta che una fase comporta è necessario riprogettare e ridefinire ciò che è stato fatto in precedenza. Questo consente di portare innovazione continua e progettare in modo ecosistemico. Infatti, le necessità di intervento in sanità sono molteplici e il DT si adatta molto bene nel contesto aziendale, formativo e nella progettazione di nuovi servizi. Il DT promuove la creatività e l’innovazione e consente ai manager di assumere decisioni e programmare nuove azioni, con un approccio al problem solving e con una forte attenzione al pensiero umanistico, per mettere la persona al centro. Inoltre, incoraggia a mettere in discussione le proprie convinzioni e a prendere in considerazione soluzioni alternative. L’intero processo si presta ad analisi stimolanti e a esplorare nuovi percorsi e idee, con un giusto mix tra creatività, razionalità, analisi e misurabilità. Il DT è uno strumento di progettazione efficiente ed efficace. Efficiente perché, in qualche misura, si avvicina ai concetti di Lean e Agile. Efficace perché riprende alcuni principi della Digital Transformation. Tutti ingredienti necessari per ripensare e riprogettare l’ecosistema socio-sanitario.

Conclusioni

La social innovation è un modo di fare innovazione che pone particolare attenzione a creare valore condiviso. Per ottenere questo tipo di innovazione si utilizzano strumenti e metodi per l’innovazione in senso stretto, ma la valutazione degli impatti della strategia e dei progetti è rivolta principalmente a soddisfare i bisogni degli utenti finali. Cittadini e pazienti che potrebbero finalmente contare su un servizio sanitario capace di essere inclusivo nei processi e nelle relazioni, così da eliminare vuoti di presa in carico, iniquità e senso di smarrimento. È un cambiamento importante, in un contesto complesso, che necessita l’attivazione di competenze di project management a supporto degli obiettivi del PNRR affinché diventino una realtà sostenibile.

Bibliografia e sitografia

[1] https://www.researchgate.net [ultima visita 24 febbraio 2022] [2] National Security Agency, Global Trend 2040: Navigating A More Contested World, https://www.dni.gov/ index.php/gt2040-home [ultima visita 24 febbraio 2022] [3] Magatti M. (2017). Cambio di paradigma. Uscire dalla crisi pensando al futuro. Feltrinelli Editore [4] Verganti R. (2018). Overcrowded. Hoepli Editore [5] Brown T. (2009). Change by Design. HarperCollins Publishers Inc. [6] Lusch R.F., Vargo S.L., Mele C. (2017). Service-dominant logic. Cedam  [7] Pearce C., Conger J. (2003) Shared Leadership: Reframing the Hows and Whys of Leadership. Sage Publications Inc. [8] Plattner H., Meinel C., Leifer L. (2014). Design Thinking Research. Springer [9] https://dscholl.stanford.edu [ultima visita 25 febbraio 2022]

Articolo contenuto in "PROJECT MANAGER (IL)" 51/2022, pp 34-37, DOI: 10.3280/PM2022-051007