Scienza

La misura del cambiamento del nostro SSN/SSR

Maurizio Dal Maso, Associate founder Healthability Società Benefit, Firenze

… la minaccia al Ssn non è costituita dalle cliniche e dagli ospedali di proprietà privata inseriti all’interno del sistema di offerta pubblico che “sottraggono risorse”, come talvolta capita di ascoltare anche dai manager del SSN. Il nemico è il mondo delle assicurazioni che, allo stato dei fatti, gradualmente sostituirà il pubblico nella funzione di “tutela”, vera essenza del Ssn. Questa morte indolore non sarà sgradita alla politica che continua a proclamare che il SSN è un irrinunciabile pilastro di equità sociale, ma si mostra incapace a tutelarlo. E non ha neanche bisogno di assumere posizioni diverse. Il passaggio fatale – come capita sempre più raramente fra gli umani – avverrà ineludibilmente, per progressivo rallentamento delle funzioni vitali e delle relazioni con il mondo esterno, fino a che parenti e amici che ancora manifestano al morente amore ed affetto si rassegneranno alla perdita e l’ultimo che gli sta tenendo la mano, con voce sommessa, annuncerà: non è più con noi.

Questo scriveva poche settimane fa Giovanni Monchiero, oggi editorialista di Panorama della Sanità. Conoscendo la persona e la sua storia di manager nel mondo del SSN pubblico negli ultimi 40 anni, come pure è successo a me, ho pensato che forse era una previsione troppo negativa. Poi, lentamente, mi sono tornati in mente i miei ultimi 20 anni e le tante responsabilità manageriali come direttore sanitario, direttore generale e commissario straordinario, e ho capito che aveva perfettamente ragione: è solo una questione di tempo, non di merito né di metodo, perché già oggi sono ormai chiari e visibili i segnali.

Perché siamo arrivati a questo punto? Potremmo pensare che gli anni del Covid hanno dimostrato quello che già sapevamo, ovvero l’esistenza di un eccessivo uso dell’autonomia gestionale delle Regioni – alcuni parlano di “anarchia istituzionale” – sugli aspetti essenziali della salute, intesa come l’uso adeguato delle risorse dedicate dalla collettività alla sanità secondo criteri di appropriatezza ed efficienza per fornire servizi di elevata qualità garantendo ai cittadini l’accesso, l’uguaglianza e l’equità. A questo proposito basta ricordare cosa si intende per uguaglianza, ovvero l’assenza di discriminazione tra le persone nell’accesso ai servizi assistenziali, nell’allocazione delle risorse e nell’offerta di opportunità, mentre l’equità è invece altra cosa oltre al semplice accesso ai servizi assistenziali: l’allocazione delle risorse e l’offerta di opportunità giusti e trasparenti.

Un sistema sanitario equo dovrebbe riuscire a dare servizi diversi a bisogni diversi, proprio perché non c’è nulla di più iniquo del fatto di dare risposte uguali a bisogni diversi. È chiaro che oggi dei tre parametri permane, anche se migliorabile, solo l’uguaglianza mentre accesso ed equità sono già fortemente compressi. Uno dei punti fondanti del nostro SSN, quindi, fortemente in crisi, l’equità, intesa come l’accesso ai servizi assistenziali, l’allocazione delle risorse e l’offerta di opportunità giuste e trasparenti, tenendo conto che le persone hanno bisogni, poteri e competenze diversi fra loro e che tali differenze devono essere identificate e orientate in modo di riequilibrare gli squilibri stessi. Rimane l’uguaglianza ma da sola non è sufficiente a garantire un SSN/SSR giusto ed efficace.

Identico discorso si può fare per l’accesso che è un fattore legato alla gratuità delle cure che, i dati degli ultimi 40 anni hanno mostrato, non esiste più nella misura in cui la quota di pagamento “out of pocket” resta ormai stabile sopra al 20% e copre nell’80% dei casi prestazioni previste nei LEA, quindi già “pagate” dai cittadini ed erogate nel SSN/SSR, ma non secondo tempi, modi e luoghi da loro graditi ed accettati.

Aggiungiamo anche che il concetto di salute oggi è molto diverso da quello, a tutti noto, dichiarato dall’OMS nel 1948, che infatti già dal 2011 affermava come la salute sia la capacità di adattamento e di autogestione di fronte alle sfide sociali, fisiche ed emotive. Questo significa che la salute viene intesa come convivenza ed accettazione dello stato di salute di “quel momento” che comunque consente la capacità di autogestirsi, quindi di vivere anche in condizioni di irreversibile perdita della salute stessa.

Sappiamo quanto la popolazione sia progressivamente invecchiata con il conseguente aumento delle malattie croniche ed è quindi evidente che si dovrà cambiare radicalmente il paradigma di cura. La presa in carico del soggetto “cronico” o pluripatologico, perché portatore di più patologie croniche contemporaneamente, deve avere un ruolo primario nella programmazione degli interventi clinici e socio-assistenziali, superando l’approccio tradizionale per andare verso una valutazione globale e multidisciplinare dei bisogni/domanda a cui dare, finalmente, una nuova e diversa risposta organizzativa.

Credo sia ormai ora di smettere di dire, nei fatti, ai nostri pazienti quello che Henry Ford scriveva nel 1922, ovvero che “ogni cliente può ottenere una Ford T colorata di qualunque colore desideri, purché sia nero”. Già oggi potremmo programmare il governo della domanda con uno strumento come il PHM (Population Health Management) che mette in grado di gestire la filiera dei servizi coinvolti nelle diverse fasi della malattia (dalla prima diagnosi fino alle cure di fine vita), accompagnando la fruizione da parte del cittadino di nuovi servizi, integrati nell’evoluzione del CCM (Chronic Care Model), attraverso la gestione di percorsi di cura predisposti ex ante che declinino la qualità delle cure in termini di prestazioni ritenute appropriate e di luoghi di erogazione. Ovvero l’essenza di quella “Value Based Healthcare” che potremmo definire come la possibilità di dare esattamente quello che serve a quel particolare paziente, niente di più e niente di meno. Oggi possiamo farlo. Identificare e segmentare la popolazione attraverso specifici algoritmi che distinguono le coorti per condizioni di salute o patologie diverse, predisporre modelli di offerta e di presa in carico specifici per target di popolazione, attivare sistemi di monitoraggio orientati alla valutazione degli outcome per target di popolazione usando big data, data analitics e intelligenza artificiale a supporto dell’intera strategia di PHM.

La sfida che abbiamo davanti oggi nasce da più fattori: l’invecchiamento della popolazione, la sempre maggiore ed esigente aspettativa di vita in buona salute, l’aumento progressivo delle patologie croniche, l’evoluzione esponenziale delle nuove tecnologie disponibili. Tutto ciò impone in modo sempre più stringente di conseguire l’obiettivo dell’efficientamento e della sostenibilità, cioè la vera sfida delle politiche sanitarie nell’immediato futuro e più ancora nel medio periodo.

Elio Guzzanti scriveva nel 2006 che “affrontare il problema degli ospedali e, soprattutto, del loro futuro comporta necessariamente una visione non limitata all’ospedale come struttura edilizia ma estesa a molti altri fattori quali le linee di indirizzo della politica sanitaria, le modalità di finanziamento del sistema sanitario e degli ospedali ed anche il progresso scientifico e tecnologico oltre che l’evoluzione demografica ed epidemiologica. Tutti fattori che determinano le esigenze e le priorità da affrontare da parte dei sistemi sanitari ed il ruolo che in questo contesto viene affidato all’ospedale”. Pertanto dovrà essere riletto il modello di Ospedale: sempre più flessibile, in una logica che coniuga l’ innovazione tecnologica con quella organizzativa funzionale, anche per traguardare in senso più generale l’evoluzione dell’ospedale in futuro e per ampliare il perimetro contestuale dentro il quale tale trasformazione si dovrà realizzare. ( https://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato1694596546.pdf).

È indubbio che esista un problema di risorse complessivamente intese ma è altrettanto noto che in qualsiasi settore aziendale migliorare la performance e la “accountability” dipende dall’avere degli obiettivi condivisi che uniscano gli interessi e le attività di tutti gli stakeholders. E infatti il concetto di valore si riferisce al risultato raggiunto anche in rapporto al costo atteso del trattamento. Inoltre definire e misurare il valore è essenziale per comprendere la performance di qualsiasi organizzazione sanitaria e per orientarla verso il miglioramento continuo ed infatti, nell’assistenza sanitaria, il valore è anche l’esito in termini di salute raggiunta dal paziente per ogni euro speso.

L’essenza delle prossime azioni in campo di management sanitario sarà privilegiare quelle orientate alla misurazione accurata dei fenomeni che vorremo gestire e migliorare, ricordando quello che scriveva Daniel Yankelovic nel 1972 (Corporate priorities : a continuing study of the new domands of business). Il suo pensiero esprimeva la complessità della misurazione e implicitamente sottolineava quanto sia indispensabile gestire le dinamiche aziendali prestando attenzione a ciò che è davvero importante e mettendo in discussione tipici, spesso automatici, comportamenti organizzativi che ostacolano il miglioramento. Peccato che ancora oggi nelle organizzazioni sanitarie il pensiero che si percepisce sempre presente e dominante è “abbiamo sempre fatto cosi”. È evidente che non potremo che migliorare, in futuro!

Concludo con alcune riflessioni riportate nell’ultimo Rapporto Oasi 2023 Cergas-Bocconi che indicano i passi non indolori ma necessari da fare subito :

  • un’analisi dettagliata dei consumi di pazienti con profili di salute omogenei, per individuare le aree di over- e undertreatment, considerando nel conteggio anche quanto ottenuto in regime privato;

  • la limitazione delle prescrizioni a quanto effettivamente erogabile;

  • lo snellimento delle procedure, facendo coincidere i momenti della prescrizione e della prenotazione.

Questo comporterà una riorganizzazione dei servizi, passando dalla logica prestazionale a quella della presa in carico (il percorso di cura) con la conseguente necessità di cambiare il sistema di finanziamento. Questo cambiamento sarebbe una modalità di spendere i fondi del PNRR in modo più razionale rispetto al semplice potenziamento dei servizi a modello sostanzialmente invariato che, oltretutto, non avrà possibilità di essere sostenibile nel lungo periodo.